Autori: We Are Waves
Album: Hold
Label: MeatBeat
We Are Waves alla prova della maturità. “Hold” è il loro terzo album, un complesso e ben gestito lavoro pieno zeppo delle loro aspirazioni e dei loro ascolti. Una passeggiata dentro una new wave che vuole ritagliarsi giustamente la propria strada tra un evocativo senso di abbandono agli anni ottanta e i suo synth, lungo una scoperta che ha fatto strada sino ai giorni nostri. Giovani ma già esperti, i We Are Waves arrivano da Torino con un outfit vinatge una carica emotiva che ha col tempo saputo abbandonare l’eccessività della darkwave per abbracciare toni più delicati e nostalgici, in tema Ultravox e The Human League.
Sotto pile di storici vinili, ecco allora la conferma di una bella realtà che risponde al nome dei We Are Waves, in un momento in cui anche altre band sembrano volersi darsi una precisa identità (Il Fieno ad esempio), lontano dall’abusivismo dell’ItPoP.
“Hold” diviene così un concentrato di sonorità verticali e di pulizia del suono eighties, a cominciare dalle percussioni immaginarie di Fugitives, non la prima traccia ma uno dei più interessanti brani del loro disco, in cui emerge un raccordo di ottima fattura tra chitarre e pulsazioni sintetiche. Sin da subito, l’ouverture di I Can’t Change Myself lascia comprendere l’attitudine di una band che è fiera delle proprie radici, in un bel ritornello che si fa anche ballabile. In Lynn la voce del leader Fabio Viassone lancia urla nel vuoto, in modo partecipato e mistico, come in pomeriggio surreale in cui non ci si libera dei propri ricordi.
Maracaibo (titolo da primi della classe se collegato alle ritmiche) è invece un brano dal trend elettro-wave, con ritmi sparati ad effetto nel vuoto. Un energia e uno spessore insolito per artisti nostrani, che celebra così i We Are Waves, in preda ad una pulsazione post-Cure e all’uso di inserti elettronici moderni che si mischiano con percussioni caraibiche e handclapping (festa alla Maracaibo e nenw wave, per l’appunto).
Tra le dieci canzoni di “Hold” spuntano anche il basso distorto e il groove da dance anni ’80 (si, sempre loro) di See The light e la malinconia di For all those times, un credo che non poteva mancare tra amanti della new wave, qui accompagnata da un set acustico prorompente. Si tratta, in particolare, di quell’acustico che ama poi ripresentarsi sul finale, con il viaggio di Head in the Ocean, commiato intimo che suona come un inno all’abbandono, sino allo spegnimento delicato del finale.
Astenersi hipster modaioli, quindi, e spazio allora al loro tour di live che parte dal Circolo Ohibò di Milano il 15 marzo, e toccherà poi diversi palchi per portarvi a casa le aspirazioni dei We Are Waves.
Andrea Alesse