Autore: Molotoy
Album: The most intelligent child
Etichetta: Kibumi Records
Molotoy atto secondo. Dopo i fasti e le tenere sorprese dell’esordio targato The low cost experience, ecco uscire The most intelliget child, disco ambizioso che si intromette a gamba tesa tra le produzioni alternative più interessanti di fine 2016. Atmosfera e credibilità musicale, con tentazioni elettroniche e divagazioni post rock che danno una particolare tono di musica cinematografica alle note dei Molotoy. Il trio romano ama infatti l’uso dei synth e delle batterie elettroniche, perdendosi spesso dentro tourbillon scenografici che denotano attenzione spasmodica verso la strumentalità e il respiro internazionale di un sound che appare sin da subito elegante e solenne negli arrangiamenti. Bisogna tuffarsi dentro le architetture di The most intelliget child per tentare di capirne il significato, bisogna immaginarsi mentre si attraversano i binari e arriva un treno in corsa , mentre nelle cuffie scorre la linfa di archi e del lirismo di Allunaggio. Un brano maestoso che utilizza il violino per magnificare i suoni sintetici e il piano. Dietro tutto, come nelle alchimie sognanti di Ruches, lo sguardo ai Maserati e ai compatrioti Giardini di Mirò di Rise and Fall of Academic Drifting.
Le atmosfere artefatte, a dire il vero, iniziano già con la potenza quasi mistica di Human Race, baluardo di emozioni da paesaggio lunare e distanze dalla alchimie più dinamiche di Monster, canzone che deve qualcosa alle compilation della Moor music, ma che segna perfettamente la bravura dei Molotoy. La vediamo dall’intensità del piano alternato ai bassi elettrici quasi danzerecci, che evocano proprio dei mostri da seppellire a colpi di synth dolci e rarefatti. Time mostra invece il lato più duro, mentre Kaleidoscope ha qualche base che ricorda gli Air, a conferma della sensibilità artistica eccentrica dei laziali.
La voce, sin qui passata in secondo piano, è invece la trama portante di Float e Disappear. Nella prima è la delicatezza di Eeris a lanciare sprazzi di utopia tra le atmosfere nervose che si scuoiano velocemente, mentre il secondo brano vede cimentarsi il ritrovato The Niro, solido cantautore che dona ancor più certezze a un pezzo ipnotico e elettronicamente valido. Voce malinconica che fa da contorno a analogici suoni di piano, e che fa da preludio alla vena poetica di When i hit the atmosphere… i’ll burn like a metor, doppia chiusura intrisa di riscatto e chitarra elettrica finale da brividi.
Testo a cura di Andrea Alesse