Autore: Reflections In Cosmo
Album: Reflections In Cosmo
Etichetta: RareNoise Records
Booking: Lunatik
Il concetto si supergruppo infastidisce e porta spesso su strade sbagliate, addensando aspettative delle molte troppo alte. Ma stavolta dobbiamo fare un passo indietro, perché il supergruppo si costituisce e vive in una dimensione altra, scandita da una scarna e volontariamente poco articolata presenza sui social, per dare precedenza alla musica. I Reflections in Cosmo vanno al sodo e producono un album che non vuole stringere la mano ad alcun prototipo pop, dentro un marasma psichedelico di free jazz dalla potenza cruda, e con inserti rock che ne rivendicano le origini. Tastiera, percussioni. sassofoni e chitarre aiutano così la formazione di una composizione che ha origini nella diversità di ascolti e tradizioni musicali dei 4 componenti della band: Kjetil Moster con il suo sax “assassino”, Stale Storlokken, già Supersilent, alle tastiere, Hans Magnus Ryan dei Motorpsycho alle guitars e Thomas Stronen alla batteria. Musica che ha una formazione ben salda nella liturgia psycho, corredata di un atteggiamento che in Norvegia, da dove provengono i Reflections, ha da tempo attecchito anche grazie alla famiglia Jaga Jazzist e al culto della sparatoria musicale a colpi di jazz. Nessuna improvvisazione, però, ma una lucida visione che usa la musica strumentale per dare senso ad un album omonimo schizofrenico e lanciato sulla via della genialità dei Last Exit. Produce il tutto la RareNoise Records, etichetta glocal che segue anche gli Humcrush di cui fanno pare due membri dei Reflections In Cosmo.
Nella Babele sonora dei norvegesi rientrano quindi le cavalcate di fiati e le letture heavy rock, presenti nella introduttiva Cosmosis sotto forma di assoli e poi replicati con quel tocco di lucida follia che attanaglia la band accanto ad una maturità conclamata. Suoni alla The Ex lanciano una pietra nello stagno a mo’ di onde in Ironhorse, brano che potrebbe anche comparire in qualche poliziesco di altri tempi. Un anthem per farci capire il groviglio delle elucubrazioni di un gruppo solido.
Il filo conduttore del disco è però la psichedelia, testimonial di intensità in Cosmic Hymn e mescolata alla vena jazz che parte anche da John Coltrane e Pharoah Sanders. In Blakava troviamo anche qualche sprazzo di elettronica sperimentale, ma è poi Perpetuum Immobile a ricordarci dell’amore per un modo di pensare musica squisitamente sixties, con tastiere ben ferme a terra. Il rovesciamento dell’immobilità è così devoluto alla furia musicale, mai doma e sempre attaccata ai pazzeschi suoni di sassofono.
Dopo la furia di Fuzzstew è l’omonima Reflections In Cosmo a darci il commiato in tumultuosi riverberi alla Elephant9, con un eco oscuro e mai anonimo, proprio come i quattro norvegesi.
Testo a cura di Andrea Alesse