Autori: Ovest di Tahiti
Album: Luci della città
Label: autoprodotto
Perseveranza e sagacia indie della miglior specie in arrivo da Andria, da quel tavoliere dove lavora bene lo spirito di Makai e dove i quattro ragazzi che compongono gli Ovest di Tahiti si muovono con il loro primo vero full lenght.
Malinconia pop folk che guarda da lontano la città e le sue luci, con una metrica che ricorda le disavventure amorose di Dente e il pop artistico di Andrea Laszlo de Simone, per un’opera prima che ama la musica d’autore e l’alt folk. Luigi Lafiandra, vocalist dal timbro particolare, canta di panorami pugliesi e amori che si perdono (arancione) tra chitarre e percussioni dense di atmosfere che si avvalgono della miglior enfasi shoegaze.
Il linguaggio italiano, tranne che per la folkeggiante pausa di Taking over the reason, rende decisamente comunicativi i versi di un gruppo di amici, prima che di musicisti, intenti a ringraziare le loro famiglie e a servirsi di un banjo interessante in nebbia scura, canzone amica delle paure messe in musica di Ben Seretan e molto ben costruita tra i suoi accordi quasi alla Kusturica.
Ma Ovest di Tahiti è anche un marchio di accordi chirurgici e passione artistica propria, deciso a farsi amico di chitarre minimal in un brano come qualità, scorgendo un dilemma dietro l’altro con piglio molto gentile e la solita passione. Chiude il disco, composto da otto tracce e da un artwork ispirato a firma MasterEaster, una canzone (Luci della città) che accarezza le paranoie e i desideri di una giovane band con una propria personalità, quasi a sussurrare piccoli canzoni pop che si lanciano verso il mare, stavolta con qualche accordo elettrico e un ritmo più classic rock.
Andrea Alesse