Artista: Noah Gundersen
Album: White noise
Etichetta: Cooking Vinyl
Promo: Ja la media activities
Avvicinarsi ai 30 anni e provare nuove sensazioni. Noah Gundersen mi fa capire questo, ascoltando le tredici tracce di White Noise per cantare con lui di lussuria, paure, nuove Tv da compare e passati da dimenticare. Un eroe che canta solo, al cospetto di una patria ancora ferita dall’anniversario dell’11 settembre che accoglie un interprete sonoro delicato e suggestivo.
Americano al terzo album, produce per Cooking Vinyl un lavoretto di songwriting che ama le vibrazioni delle chitarre rock e la melodia tipica di un cantautore. Un musicista cresciuto in una famiglia cattolica, poi abbandonatosi agli ascolti dell’HC americano tipico di quei tempi.
Ne viene fuori una miscela che porta avanti un progressismo figlio dei tempi rock e dell’avanguardia di chi disserta di Jonnhy Cash (The Sound) confrontandosi con esplosioni emozionali. Heavy Metals diviene così un brano affrontato con l’aiuto del piano e una certa vicinanza con The Passenger, nel pieno di uno spirito magico che dalla Virginia abbraccia arrangiame4nti curati e soft rock. Dopo le chitarre, tocca all’autobiografia, con la quale Noah Gundersen cerca di far perdere l’ascoltatore tra gli archi e un racconto di dipendenze in un qualche appartamento di Los Angeles, prendendo come spunto Tom Yorke,
Siamo tutti Bad Actors di una vita troppo spesso gettata in pasto a inutili pensieri, con Noah Gundersen che traccia una linea verso un emisfero caldo, a dispetto di un cognome prepotentemente scandinavo. Fear e Loathing ci ricorda il nomadismo di Stu Larsen (a proposito, arriva in Italia a novembre, non perdetevelo) con accorati slanci folk interiori, mentre New Religion regala la beatitudine di una voce ammirevole come quella di Norah.
Si torna sui livelli di chitarra/disperazione/poesia in musica con Dry Year, brano che riconosce la forza interiore della primavera agognata con una melodia intima e personale in guitar solo.
Testo a cura di Andrea Alesse