Per raccontarvi del live di venerdì scorso al Serraglio Club Di Milano è giusto partire dalla fine. Prima delle ultime due canzoni regalate in seguito al primo tentativo di stage diving ad un loro concerto, peraltro perfettamente riuscito, gli Havah hanno intonato la loro personale resistenza, ribadendo il concetto di legame tra musica e storia partigiana. Non un combat folk dato in pasto a quindicenni, ma la forza del racconto di un ragazzo di 12 anni che imbraccia il fucile che sprigiona la forza di un live teso e ipnotico, privo di sbavature e attrazioni sexy
Michele Camorani invoca personaggi di cui oggi probabilmente avremmo bisogno, a meno di 24 ore dallo sfacelo culturale delle elezioni (oggi confermato) e con la solita carica di post punk e new wave cantata in italiano. Testi evocativi e voce metallica, con un tono pressoché continuo e il solito timbro claustrofobico a spezzare la serata milanese con i brani di “Contravveleno”, album di indubbio spessore e forza comunicativa.
Nessun dialogo col pubblico e attenzione alla musica e alla sua inquietudine, con affilati meccanismi che mescolano la forza della storia e la teatralità cupa di un suono personalissimo e vissuto in maniera particolare dal gruppo stesso. Non i Diaframma, piuttosto i Franti, in un atteggiamento di distacco e anche revivalismo scenico di una certa portata con doppia chitarra e basso urticante, perfetto per pezzi come Un nuovo meccanismo e Strade più buie. Il vortice concentrico di Rasentando i muri non lascia poi scampo, facendosi ammirare gli Havah concentrati sul set m allo stesso tempo distaccati, impegnati anche a ricordarci di quanto importante fosse il loro precedente album, “Durante un assedio”, da cui tirano fuori alcuni pezzi.
E visto che la serata deve molto alle forze della coraggiosa e intraprendente etichetta bolognese Maple Death Records (qui per rifarvi le orecchie e la coscienza: https://mapledeathrecords.bandcamp.com/), prima degli applauditi Havah si sono esibiti gli His electro blue voice. Co-divisori di split e altre battaglie fuori e dentro gli autogrill, i tre regaz, che hanno pubblicato per importanti label internazionali, portano sul palco un live rabbioso e energico, che si divide tra grida psicotiche e chitarra che ha anch’essa un amatrice post punk, veicolata con una tenacia alla Drive like jehu.
Al basso , Mr. Servant Son Nicola Ferloni segue pigro l’evolversi di una possenza sonora che richiama dei His Hero his gone velocizzati con una miscela alla Circle Jerks, per una piattaforma di velocità che sa anche perdersi in lunghi reef tipi del tipo power trio, e saltare infine il fosso con forza e ostinato scazzo punk.
Un live di quelli che a Milano mancava da forse troppo tempo.
Grazie a Via Audio
Andrea Alesse