Cosmo: un cantautore con la mania della pop-dance

Marco Jacopo Bianchi, in arte Cosmo è un cantautore italiano dell’ultima generazione. Classe 1982 è sulla scena dagli inizi del nuovo millennio, quando fondò una band chiamata Drink to me. Con il gruppo ha fatto tanta gavetta, ha superato tante delusioni, ma è cresciuto musicalmente coltivando un sogno: quello di diventare un musicista professionista. Quanto tutto sembrava ormai perso ecco arrivare un’intuizione: percorrere una strada da solista, accompagnando testi a volte surreali, con la musica pop-dance. Il riscontro del pubblico non è arrivato immediatamente, anche se piano piano qualcosa è cambiato. Le radio hanno iniziato ad interessarsi, a far passare i pezzi e, come d’incanto quelle platee sempre desolatamente semivuote, si sono via via riempite ed oggi sono diventate anguste. Cambiano i tempi, cambiano gli spazi, ma non è cambiato lui, che rimane sempre con i piedi ben piantati per terra. In occasione del suo concerto a Bra (Cn) l’abbiamo intervistato ecco cosa ci ha raccontato.

Marco, la prima domanda non vorremmo nemmeno fartela, è talmente ovvia da non meritare una risposta: perché hai scelto questo nome d’arte?

«Mi chiamo Cosmo senza un motivo particolare. Quando decisi di intraprendere questo percorso artistico ero alla ricerca di un nome corto, che avesse suggestioni spaziali. Un giorno, in viaggio su un furgone con il mio amico Jacopo, gli dissi: “come potrei chiamarmi?” e lui mi rispose immediatamente Cosmo. Come vedi è stata una ricerca basata sul nulla»

Partiamo dall’inizio della carriera e dalla tua esperienza con il gruppo Drink to me. Come la descriveresti?

«E’ stata la mia culla musicale, con quella band ho fatto quattro dischi e centinaia di concerti, ma anche tanta gavetta ed un po’ di fame».

Al punto che hai deciso di accantonare l’esperienza?

«Diciamo che per ora il progetto continua, nel senso che fino ad ora ho intervallato i Drink a Cosmo. E’ un dato di fatto che io più di una cosa per volta non riesco a fare, ma è anche una questione di necessità. Quando si organizza un tour è impensabile avere contemporaneamente i due concerti. Si rischia di creare una grande confusione e le difficoltà sarebbero troppe».

Quindi il piatto della bilancia pende dalla parte del nuovo progetto?

«Se dovessi dare un giudizio in questo momento, specialmente guardando come sta andando Cosmo, dico che sarà da valutare l’opportunità di far proseguire i Drink. Il nuovo progetto è decisamente più remunerativo ed ha un maggiore margine di crescita».

Stai pensando di sciogliere la band?

«Penso che per portare avanti un’idea che alla fine non paga è necessario avere delle motivazioni e sono quelle che stiamo cercando. Forse la svolta potrebbe essere quella di creare un qualcosa di innovativo o sperimentale, da inserire in un momento di pausa. Ma ci stiamo ragionando sopra, perché oggi Cosmo è l’utile e il dilettevole mentre la band è solo un momento di evasione. Non possiamo dimenticare le poche decine di persone che assistevano a quei concerti e i sold out che invece registriamo oggi».

Oggi la musica per te è un lavoro?

«Assolutamente. E’ da tre anni che lo è e mi consente di vivere una vita dignitosa. Se andiamo a vedere sono i tour che pagano, ma i dischi ti servono per vendere i tuoi concerti. Gli unici che vendono qualcosa sono quelli dei talent, ma sono il giochetto delle major che hanno trovato la nuova pietra filosofale della musica».

Come spieghi il boom dei nuovi cantautori italiani? Tu, i Cani, The Giornalisti state raccogliendo successi a ripetizione..

«Hai dimenticato Calcutta. Lui sarà il nuovo Vasco Rossi (ride, ndr). Diciamo che la nostra generazione ha un background comune che è la musica indipendente e alternativo. In quell’ambiente ci si conosce un po’ tutti e ci siamo resi conto che sta succedendo un qualcosa di analogo agli anni ’90, quando per esempio esplosero gli Afterhours. Io non credo abbiamo inventato qualcosa di nuovo, anzi. La mia proposta è quella di proporre testi italiani interpretati in una cornice pop, o per meglio dire una dance».

Possiamo dire che avete aggiunto una base orecchiabile a testi d’autore?

«Forse sì, forse quello è il segreto. C’era bisogno di un ricambio generazionale e di persone che fossero in grado di seguire direttamente il proprio progetto, senza metterlo in mano a produttori ed etichette discografiche, che si limitano a dare un’occhiata in giro per il mondo e copiare un po’ il gusto internazionale»

Ti stupisce tutto questo interesse nei tuoi confronti?

«Stupito almeno per ciò che riguarda il mio successo. Francamente quando ho iniziato questo percorso avevo pessime aspettative e quindi veder crescere il pubblico mi rende estremamente felice. La cosa positiva è che faccio ciò che mi piace, senza alcuna imposizione. E credo che anche gli altri artisti che hai citato prima facciano altrettanto. Mi sono trovato dentro questo boom o almeno credo. Se così sarà te lo dirò tra dieci anni».

Proponi pop: ma come la metti con i soloni della musica che lo considerano un genere di serie B?

«Diciamo che ho voluto questa svolta commerciale, fregandomene altamente dei critici di nicchia che ti bastonano per certe scelte. Ancora oggi mi trovo dei messaggi sui social che mi dicono “che m… di canzoni che fai, erano molto meglio i Drink to me”. Io rispondo loro che sono due facce della stessa medaglia, molto diverse tra di loro, ma entrambe con la medesima importanza. Sono in continua evoluzione e se ascolto le cose vecchie le trovo piacevoli, ma musicalmente ingenue».

Prima hai citato i talent. Qualcuno ti hai mai proposto di andarci?

«No nessun invito, anche se comunque non avrei accettato, non mi sento tecnicamente in grado di poter partecipare ad una cosa del genere. Forse mi piacerebbe andare a Sanremo, magari in duetto con Calcutta (ride, ndr)»

Se dovessi scommettere su una svolta mainstream su chi punteresti un euro?

«Su Calcutta o su me stesso, forse anche The Giornalisti. Per i Cani la vedo dura perché ha una proposta un po’ troppo complessa. In assoluto dico il primo perché ci sono tutte le premesse affinché diventi qualcosa di veramente importante. Dipenderà soprattutto da lui. Io vorrei ricordare che Vasco Rossi, ai tempi di “Colpa d’Alfredo” era considerato dalla critica come una sorta di buffone ed oggi è un’icona dell’Italia musicale. Ma penso anche ai Nirvana, che hanno conquistato il mondo, pur non avendo dietro una qualità musicale eccezionale. Chi vivrà vedrà?».

Del resto il boom di Cosmo è arrivato grazie ad un video un po’ pazzo…

«Già se pensiamo a quella sera di Vasto, quando tutto girava storto, i cavetti si sfilavano, il pubblico ci lanciava i cocktail sul palco. Stavo già archiviamo l’esperienza come una serata schifosa ed invece quando postammo il video su youtube immediatamente registrò un boom di visualizzazioni. Sono bastati tre giorni da quell’esibizione per far cambiare il corso della storia. Sembra incredibile, ma oggi non troviamo così sconvolgente vedere un tutto esaurito in posti sperduti della penisola,gli stessi che qualche anno fa ci regalavano pochi intimi ai piedi del palco. Ma forse farà parte dell’esperienza acquisita nel corso degli anni».

Intervista a cura di Vincenzo Nicolello

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