Coma Cose all’Hiroshima Mon Amour

…eh, in effetti ne è passato del tempo da quando abbiamo visto i Coma_Cose muovere i primi timidi passi su un palchetto bolognese 5 anni fa. Allora per mettere insieme una dozzina di canzoni per il set erano costretti a ripeterne alcuni due volte, ieri sera al Teatro della Concordia di Venaria (TO) si sono presentati con una scaletta forte di ben 26 brani.

La pandemia, che ha colpito tutti, può avere “congelato” l’attività live di molti artisti, è sicuramente servita alla band milanese a mettere ancora di più a fuoco l’itinerario e gli obiettivi che si erano proposti. Riuscire a sposare il cosiddetto mondo “indie” e quello “mainstream”, mantenendo coerenza e credibilità, oltretutto moltiplicando il pubblico, non è un’impresa facile. Eppure è quello che è successo: le due apparizioni sul Palco di Sanremo nel 2021 e 2023 hanno invece cementato un successo crescente che, se nell’immediato, non ha portato a risultati concreti (almeno in termini di classifica di gara) ha fatto conoscere il gruppo anche a platee non avvezze a certi suoni e a certi look.

Probabilmente per Fausto Lama (vero nome Fausto Zanardelli) quella dei Coma Cose era l’ultima chance artistica. Dopo aver tentato invano con ben 3 album la carriera solista con lo pseudonimo di Edipo, è stato spinto nel 2016 da Francesca Mesiano, meglio conosciuta come California, a fondare questo duo (che è anche coppia, tra alti e bassi, nella vita). Ma ora, come dicevamo, finalmente sono arrivati il successo e la consacrazione artistica e a dimostrarlo sono una serie di sold out per queste date primaverili, a cui seguirà anche un tour estivo che li porterà in giro per l’Italia.

Ieri sera ben 2.000 persone si sono ritrovate ad applaudire il duo, accompagnato sul palco oltre che dall’ormai fidato duo di produttori, arrangiatori e polistrumentisti “Mamakass” (Carlo Frigerio e Fabio Dalè) al basso, synth e tastiere, anche dalla violoncellista Giulia Monti, da Riccardo Fanara alla batteria e infine da Gregorio Manenti alla chitarra. Il suono è diventato finalmente pieno e potente e gli arrangiamenti hanno elevato anche quei primi brani della produzione, che a volte su disco sembravano solo degli sketch, alla statura di classici della canzone italiana. Stiamo parlando ad esempio di “Anima Lattina” che ormai non rimanda solo scherzosamente al brano e all’album di Lucio Battisti, o di “Mancarsi”, o del terzetto di apertura “Jugoslavia”, “Deserto” e “Granata”. I riferimenti musicali sono sapientemente dosati e miscelati e quindi si possono contemporaneamente avvertire sia una certa wave anni ‘80, ma anche un’incursione addirittura nel prog, che abbiamo apprezzato nello strumentale “Psicodelizia”. Ma c’è anche il rock, l’elettronica, la scansione e la struttura ritmata, a volte sbilenca, del rap.

Se forse nell’evoluzione dei testi si sono persi certi “giochi di parole” scherzosi, i brani hanno acquisito uno spessore intimista, spesso autobiografico come è successo per i due brani sanremesi “Fiamme negli occhi” e “L’addio” o in quell’altro gioiellino di singolo che è “Chiamami”.

Il pubblico entusiasta le canta tutte e prima del bis parte spontaneamente un coro di “Io rimango/fino a quando/non accendono le luci” richiamando sul palco la band che esegue per l’appunto il brano “Post concerto”. Chiude la serata “Sei di vetro” dal recente “Un meraviglioso modo di salvarsi”, presentata da Fausto come “una seconda opportunità” che hanno voluto offrire a se stessi: quella seconda opportunità che nella vita artistica come in quella personale si è dimostrata vincente.

 

Ecco la scaletta della serata: Jugoslavia, Deserto, Granata, Beach Boys Distorti, Calma Workout, Chiamami X, Transistor, Anima Lattina, La Canzone Dei Lupi French Fries + Eeeh Oooh, Napster, Novantasei Odio I Motori, Fiamme Negli Occhi, Giorni Opachi, Mancarsi, La Resistenza, Mariachidi Foschia X, Psicodelizia, Zombie Al Carrefour, Nudo Integrale, Pakistan, L’addio. BIS: Post Concerto, Sei Di Vetro.

 

Ringraziamo Glenda di Hiroshima Mon Amour, Danila Guglielmi di Palace Agenzia e Wordsforyou.

 

Testo a cura di Aurelio Heyrace

 

Foto copertina di repertorio a cura di Emanuel Giordani

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