Brunori Sas è Dario Brunori, cantautore della provincia cosentina, classe 1977. Imprenditore mancato e neo-urlatore italiano, esordisce discograficamente nel 2003, con il collettivo virtuale Minuta, per cui firma tre brani in altrettante compilation tematiche. E’ nel 2009 che si affaccia all’universo cantautorale italiano, adottando il moniker Brunori Sas. Pubblica così il suo album d’esordio: Vol.1: un vero e proprio canzoniere italiano, fatto di brani semplici e diretti, filtrati attraverso sonorità retrò e pieni di quell’immaginario dei ricordi dei 30enni di oggi, ossia i primi anni 90. Si aggiudica il Premio Ciampi 2009 come miglior disco d’esordio e la Targa Tenco 2010 come miglior esordiente. Accompagnato da Simona Marrazzo (cori e percussioni), Dario Della Rossa (piano e tastiere), Mirko Onofrio (sax e fiati) e Massimo Palermo (batteria), percorre l’intera penisola con un acclamato tour di oltre 140 date, che lo porta a vincere l’ambito premio di KeepOn come miglior personaggio live della stagione. Dopo il primo disco arrivano Poveri cristi, Il Cammino di Santiago in Taxi e tantissimi spettacoli dal vivo. Dario spazia dal concerto classico, all’unplugged (con il progetto Brunori senza Baffi), fino ad arrivare allo spettacolo di cabaret, Brunori Srl, che ha attraversato la penisola nel corso dell’estate. Ricordiamo che il concerto di chiusura si terrà al Teatro Colosseo di Torino giovedì 24 settembre.
Ecco cosa ci ha raccontato.
Dario Brunori, sei un artista che nasce a Guardia Piemontese, ridente paese calabro, che dal punto di vista culturale, non è proprio l’ombelico del mondo. Che difficoltà hai incontrato per affermarti?
«Sicuramente non è semplice. Non si tratta della mancanza di mezzi, ma semplicemente della carenza di contatti. Vivere al Sud vuol dire essere periferici. Anche oggi, sebbene le nuove tecnologie aiutino, continua ad essere ben vivo questo scotto da pagare. Per quanto mi riguarda, le cose sono andate in modo un po’ particolare, visto che ho vissuto per qualche tempo in Toscana ed è lì che sono nate le mie esperienze musicali. Proprio a Firenze ho conosciuto le persone con cui collaboro tutt’ora. Quindi quando sono tornato in Calabria, non ero isolato del tutto, ma avevo molte conoscenze, che mi hanno permesso di essere connesso con il mondo. Detto questo confermo le grandi difficoltà a trovare i luoghi dove potersi esprimere e di conseguenza poter emergere».
La tua carriera cantautorale è passata dai brani autobiografici ad altri dedicate a storie popolari. Questi personaggi sono reali o sono frutto della tua immaginazione?
«In realtà sono inventati, anche perché volevo assolutamente disimpegnarmi dall’autobiografico stretto, che in qualche modo mi teneva con le mani legate. Mi sono affidato all’immaginazione, ma è chiaro che tutto ha preso forma partendo dalle mie esperienze personali. Diciamo che mi sono basato su cose che mi avevano suggestionato e di qui sono nati i “Poveri cristi”, tra i quali è bene sottolinearlo, mi ci sono messo pure io».
I tuoi spettacoli hanno una dimensione intimistica, nel senso che difficilmente ti sei esibito davanti a platee molto grandi. Eppure quest’anno sei salito su due palchi che potrebbero far tremare le gambe a chiunque: il concertone del Primo Maggio e l’opening del tour negli stadi di Ligabue. Come è andata?
«Da un certo punto di vista è più emozionante immaginare di salire su quei palchi, che non salirci davvero. Quindi tanta tremarella prima degli spettacoli ma poi, una volta entrato in scena, non ho riscontrato molte differenze. Avere moltissima gente che ti osserva e come averne poca e quindi mi sono esibito in totale rilassatezza. D’altra parte è vero che in quel momento ti stai giocando una carta importante, ma è troppo bello potersi godere quell’attimo, che sicuramente è più unico che raro. Poi quando sono sceso è ritornata l’emozione».
Il tuo ultimo spettacolo, Brunori Srl, ti ha visto sotto un’altra veste: quella di cabarettista. Vero è che a te è sempre piaciuto parlare e contestualizzare i brani che stai per interpretare, ma qui ci troviamo di fronte a qualcosa di molto diverso…
«A me piace molto fare il musicista. Quello di Brunori Srl è stato un esperimento interessante e, devo dire anche riuscito. Quando ho deciso di affrontare questo progetto non avevo idea di cosa sarebbe venuto fuori ed ora che questa parentesi si è chiusa, penso ritornerò al mio vecchio amore: scrivere le canzoni».
Dopo i brani autobiografici di Brunori Sas, i Poveri Cristi e il Cammino di Santiago in Taxi, cosa arriverà?
«Le idee ci sono, ma siccome io sono generalmente uno molto tranquillo, aspetterò che arrivino le ispirazioni, prima di iniziare a correre. Io solitamente scrivo un paio di brani, che diventano le fondamenta di una costruzione complessa. Diciamo che siamo allo stato embrionale e ci vorrà ancora un po’ di tempo prima di produrre l’album».
Per l’ultima domanda vorrei citare Wikipedia, che parla di Brunori Sas come un progetto a scopo di lucro… In un momento in cui vivere di musica e vendere dischi è un’operazione quasi disperata, davvero tu hai dichiarato queste cose?
«Ovviamente la mia era una dichiarazione ironica, considerato il contesto attuale. Mi piaceva l’idea di dissacrare l’artista di nicchia che vive solo per l’arte. Noi ci siamo sempre posti l’obiettivo di fare le cose che ci piacciono e possibilmente farle durare nel tempo. Al momento questo progetto ci consente di vivere, facendo un po’ di fatica. Siamo a tutti gli effetti concertisti, costretti ad esibirci dal vivo per recuperare le risorse, visto che i dischi non si vendono più. Per farla breve è un ritorno al passato, quando i supporti non c’erano ed i musicisti vivevano solo di concerti. Se da un lato è un’esperienza faticosa, dall’altra è molto stimolante, perché oltre a scrivere musica, occorre pensare a come questa musica la proporrai dal vivo. Fin che ce la faremo continueremo così, poi vedremo».
Foto e testo di Vincenzo Nicolello. Si ringraziano Parole e Dintorni, Hiroshima Mon Amour e Las Chicas di Torino per aver organizzato l’intervista.